Manifesto della Cucina italiana
Il “credo” di Daniel Canzian

Il cuoco e socio Euro-Toques ha voluto mettere nero su bianco sette punti nei quali racconta il suo modello di cucina contemporanea tricolore tra ingredienti tradizionali e ricette innovative. Daniel Canzian ha reso noto il suo Manifesto della Cucina italiana declinato attraverso sette punti nei quali racconta la sua cucina. Dalle radici ad oggi, dalla formazione con Gualtiero Marchesi all’esperienza “in proprio” nel suo ristorante Daniel – Cucinata italiana contemporanea – Canzian vuole raccontare i suoi piatti che nascono dall’utilizzo di materie povere (intese come reputazione) ma rese contemporanee da ricette e studi personali.

«Nel luglio 2013 – racconta Canzian – ho avuto la possibilità di cucinare in una serie di cene a quattro mani tra Tokyo e Kyoto con Cesar Troisgros, figlio di Michel, durante la settimana gastronomica detta “Fattura Italiana Contemporanea, nuove generazioni all’opera”. Questo nome che all’apparenza sembra insolito se collegato alla loro tradizione familiare, strettamente legata alla ristorazione francese, si deve in realtà alla madre di chef Michel, alle sue origini friulane. La sua influenza è stata determinante perché ha portato Oltralpe la freschezza, la genuinità, il gusto e la tipicità del tocco italiano. Sia chef Michel che il figlio Cesar hanno applicato tutto ciò alla loro filosofia culinaria. Per me è stata un’esperienza folgorante e mi ha aperto gli occhi sulla strada da intraprendere con la mia cucina: restaurare i piatti della tradizione gastronomica italiana con un tocco contemporaneo, alleggerendoli per rendendoli attuali (ma non rivisitandoli)»

«Forte degli insegnamenti del signor Gualtiero Marchesi (presidente onorario Euro-Toques) con cui ho condiviso il tema della pulizia dal superfluo e la ricerca dell’essenzialità – prosegue Canzian – in questi anni sono diventato sempre più settoriale, legandomi agli ingredienti “poveri” (in termini di reputazione e non di qualità) della tradizione gastronomica del nostro Paese. Ho riflettuto sul perché la cucina italiana, specialmente quella tipica delle trattorie, nell’immaginario collettivo sia considerata “economica” e ho cercato di valorizzarla attraverso le mie conoscenze tecniche, lavorando a stretto contatto con piccoli produttori del territorio per avere sempre a disposizione ingredienti stagionali di estrema qualità. Queste sono le ragioni che, in sintesi, mi hanno portano a scrivere il Manifesto, ovvero un mezzo per raccontare il mio sviluppo professionale negli ultimi sei anni, votato a unire al valore qualitativo ed emozionale della tradizione, uno sguardo imprenditoriale ben definito, per portare la sua percezione verso un livello più alto».

«Mi auguro – conclude – che il Manifesto della Cucina Italiana sia solamente il punto di partenza di un nuovo movimento che abbracci tutte le persone che ne condividono i punti e faccia sì che le persone non abbiano più il timore di ordinare uno spaghetto alla carbonara “costoso”. Perché dietro al prezzo saranno evidenti il valore del servizio, dell’ambiente, della tecnica, del pensiero e, soprattutto, della qualità e del rispetto della materia prima della nostra terra».

Questi i sei punti di Daniel Canzian:

La cucina è arte ed esprime la sua massima raffinatezza attraverso la sintesi e la semplicità
La raffinatezza in cucina si coglie nella capacità di sintesi e di semplicità affidate alle mani del cuoco. Quasi 2mila anni fa Seneca sosteneva che, quando le ricette non erano “corrotte dalle pretese del piacere”, il corpo degli uomini era più sano e forte mentre con l’introduzione di infinite salse e condimenti “ciò che era cibo per commensali affamati divenne un peso per stomaci sazi”. Anche il Sig. Marchesi, con il suo processo di sottrazione, ha evidenziato come la chiave per apprezzare il vero sapore di un petto di piccione fosse proprio separarlo dalla salsa. Secondo la mia esperienza è nel recupero dell’essenzialità e nella valorizzazione del gusto naturale delle materie prime che l’arte della cucina raggiunge la sua massima espressione.

La stagionalità è alla base della sostenibilità
Negli ultimi anni oltre il 75% della biodiversità mondiale è andata persa. Oggi, più che mai, è necessario salvaguardare le eccellenze di un territorio ricco come quello italiano. Iniziando dal piacere di comprare al mercato e dalla valorizzazione dei piccoli produttori locali è possibile consumare materie prime stagionali e quindi sostenibili, rispettando i ritmi della natura e facendo del bene alla nostra terra. Dal 2013 lavoro con quaranta diversi fornitori distribuiti sul territorio nazionale, capaci di garantirmi la freschezza e la qualità degli ingredienti in base alle disponibilità della stagione. Inoltre, nella mia cucina non impiego nessun pesce che non sia di origine mediterranea: alici e sgombri, per esempio, sono nutrienti e non di allevamento e fanno bene sia alla salute che al gusto.

La natura è la regola principale del futuro
Picasso diceva di aver impiegato una vita a imparare a disegnare come un bambino, traslando una tecnica naturale ed emotiva all’interno di un quadro. Per il cuoco realizzare un piatto riconoscendo soltanto la legge dell’equilibrio imposta dalla natura racchiude lo stesso pensiero ed è il segreto per tracciare la strada della cucina nel prossimo futuro. Come sosteneva Henri de Toulouse-Lautrec, pittore e amante della gastronomia, per diventare “cuochi senza pregiudizi” bisogna riconoscere la natura come regola principale.

È necessario “restaurare” la tradizione per guardare al futuro
Mi piace pensare che, una volta apprese perfettamente le tecniche e le basi della cucina tradizionale, arrivi il momento di metterle da parte per andare avanti, poiché tradizione non significa “rifare il passato”, ma è la desinenza unica da cui partono due sostantivi: tradurre e tradire. Per tradurre il passato nel futuro bisogna tradirlo e, per riprendere le parole di Toulouse-Lautrec “non è necessario farlo per ignoranza o negligenza” ma per evolvere il sapere e raggiungere una nuova consapevolezza. Dal 2013 il mio approccio alla cucina italiana riprende infatti le ricette regionali e le “restaura”, alleggerendole e semplificandole per renderle apprezzabili dai palati contemporanei. I piatti della tradizione tornano in vita in modo sano e leggero, raggiungendo un alto livello gastronomico.

La regionalizzazione è la chiave per recuperare il rapporto con la nostra terra d’origine
La valorizzazione della regionalizzazione italiana è la nuova frontiera della cucina. Non esistono altri luoghi al mondo che possano vantare la nostra biodiversità in termini di ricettazione: ogni regione, città e piccolo paese ha i suoi ingredienti e preparazioni tipiche. Siamo studiati da tutti e per questo dobbiamo prendere coscienza dell’enorme potenziale del nostro territorio e della storia culinaria che affonda le radici nell’Antica Roma quando è nata, per esempio, la colatura di alici, a quel tempo conosciuta come Garum. Oggi ci troviamo contaminati da una serie di culture diverse e lontane dalle nostre che ci stimolano a conoscere tecniche e sapori nuovi, ma non possiamo dimenticarci il grande valore di un piatto siciliano, toscano, abruzzese o milanese. La regionalizzazione tra pochi anni rappresenterà per noi la normalità.

Un cuoco deve usare la mente e non gli occhi per allenarsi al bello e al buono
Il ricettario regionale italiano è per me una fonte continua di ispirazione e lo amo particolarmente per un motivo: non contiene nessuna immagine. Le ricette sono descritte con testi che lasciano spazio alla mia immaginazione e non mi tentano verso nessun tipo di “imitazione”. Secondo me, infatti, un cuoco deve usare il cervello e non gli occhi per allenarsi al bello e al buono – piuttosto che copiare una ricetta vista su un libro o in qualche ristorante gourmet. Leggere con la mente è importante per riuscire a esprimere sempre la propria personalità, seguendo questi tre passaggi fondamentali: riflettere, ragionare e trasmettere.

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