Al piano -1 dell’Aldrovandi, dopo un piccolo spazio interno riservato ai mesi più freddi, l’Assaje si presenta vestito di verde: tavolini sparsi nel rigoglioso giardino a due passi dalla piscina, in una Roma calma e silenziosa, che temevi non avresti mai conosciuto.
La storia di questo locale è costellata di grandi nomi – un veloce excursus così come ci è stato presentato dal maitre e restaurant supervisor Marcello Rotella. Alfonso Iaccarino, oggi bistellato al Don Alfonso, firma la cucina dal 2004 al 2009 conquistando la stella; il 2010 è stato, chiamiamolo così, un anno sabbatico; si ricomincia dal 2011 con Oliver Glowig, che entra in cucina ad aprile e porta a casa direttamente due stelle Michelin (caso più unico che raro) a novembre. Ultimo in cucina prima dell’attuale Di Gravio è l’executive chef Andrea Migliaccio, due stelle Michelin all’Olivo di Capri: Migliaccio fa un po’ da docente, delega la cucina dell’Aldrovandi prima a Claudio Mengoni, che conquista la stella; poi tocca a Lorenzo Di Gravio, e siamo ad oggi – Mengoni ha deciso di rientrare in quel di Firenze.
La filosofia ai fornelli del giovane chef – forte di una consapevole identità personale, di esperienze a fianco di grandi chef come Andrea Fusco e Andrea Migliaccio (al Riccio * e all’Olivo **) e del bagaglio formativo dato da stage anche all’estero (Dubrovnik in primis) – parte da quelle che sono le basi della cucina mediterranea, da unirsi alle più recenti tecniche in cucina e all’esaltazione di materie prime di qualità.
Lo scopo, come detto, è uno: far tornare un cliente nel breve periodo. «La nostra cucina vuole soddisfare il palato di tutti e non stancare». Il palato a cui si punta è fine, ma conquistarlo non significa creare un’esperienza da vivere una volta e portarsene a casa il ricordo, piuttosto «richiamarlo nello stesso ristorante più volte nella stessa settimana o nel mese. Abbiamo parecchi clienti fissi, questa è per noi una grande soddisfazione. Lavorando nel ristorante gourmet di un hotel non è facile avere repeated guests, ultimamente capita spesso e per noi questo è motivo di vanto, vuol dire che l’ospite è rimasto piacevolmente sorpreso e coccolato dalla nostra cucina».
Intanto diamo un’occhiata alla carta, focalizzandoci sui menu degustazione, sono 2: il primo è quello completo, da 7 portate, l’altro ne prevede 5, a scelta del cliente. Per i vini da abbinare ai singoli piatti si può fare affidamento al sommelier Nicola Brienzo, che come aperitivo va sul sicuro con uno champagne rosé Vracken Pommery, in accompagnamento a qualche sfiziosità by Di Gravio: un piccolo babà, spinaci, mousse di prosciutto e polvere di olive, delicato, un dolce amalgamarsi di sapori; una montanarina impeccabile; una crocchetta di vitello con senape e a chiudere una chips di amaranto con tartare di branzino e salsa di guacamole.
Si parte con l’antipasto – «Ci tenevo provaste questo piatto», ha specificato lo chef -, una Ricciola marinata in acqua di pomodoro e pepe di Sichuan, poi avocado e mango, a chiudere Caviale Calvisius. Abbinamento abbastanza classico ma azzeccato, esalta la ricciola, delicata e dal gusto particolarmente accattivante grazie alla marinatura. Piccola chicca il caviale: inganna all’inizio, presentandosi come un’aggiunta “tanto ricca quanto superflua”, invece si scopre all’assaggio una bella combinazione con la ricciola.
Un Sauvignon Blanc friulano di Rachis, fresco e intenso, accompagna la Zuppa di pomodoro. È un piatto di stagione – «Andiamo sempre a lavorare le materie prettamente stagionali, rispettando l’ambiente che ci circonda» – con pomodorino giallo datterino, chips al nero di seppia, gel al peperoncino, perlage di pesca e baccalà affumicato. Questo è un esempio di valorizzazione delle materie prime di stagione: un’esaltazione dei sapori, una freschezza vegetale intensa e ben combinata; e intanto un pensato gioco di consistenze grazie alla chips al nero. Piatto vivamente consigliato!
Immancabile poi la Fassona. Immancabile perché all’Assaje si cerca di valorizzare l’Italia intera nella scelta delle materie prime e dei piatti proposti. Una battuta, quindi, di fassona piemontese, accompagnata da salsa all’uovo e un’eccezionale riduzione di Aglianico, a chiudere misticanza, chips di pane e tartufo estivo. Se si accantona per un attimo il tartufo, che con la sua intensità può prevaricare sull’equilibrio del piatto, l’abbinamento che si crea tra la morbidezza della fassona e il gusto dolce e concentrato della riduzione di Aglianico è qualcosa di spettacolare; a maggior ragione se nel bicchiere, Piemonte per Piemonte, c’è un Aleramo Conti di Carosso 100% Chardonnay.
Seguiamo in cucina la preparazione dei Tortelli con zucchine e consommé di scampi. Il piatto, ben impiattato e accompagnato da un ottimo rosato pugliese del Gargano da uve Nero di Troia, sacrifica un po’ le zucchine ma regala gioia al palato con un consommé di scampi a regola d’arte. Un altro primo, i Tagliolini al limone – severamente home made – con burrata d’Andria, gambero rosso crudo di Mazara del Vallo, asparagi di mare e foglia d’ostrica. Questo piatto in particolare mi riporta alla mente le parole di Marchesi, “la cucina è scienza, sta al cuoco trasformarla in arte”, parole che si addicono perfettamente a questa portata: un mix di sapori lontani, di ingredienti regionali sparsi in lungo e in largo per l’Italia, ricombinati insieme, perfetti insieme. Piatto più che consigliato!
Si passa ai rossi nel calice: un Chianti Classico Riserva 2013, vasca di cemento, Sangiovese e Ciliegiolo, è una scelta che stupisce ma che convince. L’abbinamento è con una Ventresca di tonno (rosso spagnolo) cotto a bassa temperatura, fondo di crema di asparago, polvere di prezzemolo, salsa di agrumi e millefoglie di patate. Laccatura e cottura della ventresca rivelano una buona esperienza da parte dello chef; stessa esperienza (e quel po’ di coraggio) nella scelta del sommelier, che sceglie una Riserva toscana in armonia con la ventresca e in contrasto con la salsa di agrumi, a cui è sempre difficile abbinare un vino.
Rimaniamo contenti nel constatare che all’Assaje c’è il carrello dei formaggi, un plus ormai in disuso (ma che sarebbe bene recuperare), per meglio dire quasi scomparso, «al netto di lodevoli eccezioni da cercare nella ristorazione di altissimo livello», come ha scritto giustamente il nostro collaboratore Vincenzo D’Antonio.